Creepy (film)

Creepy di Kiyoshi Kurosawa (GIAP, 2016)

Durata: 130′ – Genere: Thriller

Autore eclettico, raffinato e mai scontato, nella sua trentennale carriera Kiyoshi Kurosawa ha saputo muoversi con maestria tra più generi cinematografici, a partire dal folgorante thriller Cure (1997) passando per l’horror metafisico Kairo (2001), fino a giungere alla black comedy Doppelganger (2003) oppure al dramma più profondo, come Bright Future (2003) e Tokyo Sonata (2008). In Creepy (cioè “raccapricciante”, basato sull’omonimo romanzo), il protagonista Takakura (Hidetoshi Nishijima) abbandona la carriera di detective affermato dopo un episodio drammatico in cui, non esente da colpe, rimane ferito, e si trasferisce con la moglie in una nuova casa, facendo la conoscenza dei nuovi vicini. Tra questi vi è un uomo particolarmente bizzarro, Nishino, che vive lì con la figlia e la moglie (la quale, però, non appare mai). Divenuto insegnante di criminologia, l’ex detective viene coinvolto da un collega in un vecchio caso anomalo che ha a che fare con la sparizione e il probabile omicidio di una famiglia. La pellicola procede per ellissi e parallelamente allo svelamento di alcuni macabri dettagli relativi al caso su cui Takakura sta indagando, Yasuko (Yuko Takeuchi), la moglie del detective, resta sempre più coinvolta dal nuovo vicino (descritto ad un certo punto come “un freak che non ha niente di umano”), che si comporta in modo apparentemente incomprensibile stimolando la sua curiosità. Chiaramente le due storie, inizialmente distaccate, troveranno una drammatica convergenza in un climax inarrestabile.

Kurosawa semina indizi, pennella con abilità una situazione ambigua e inafferrabile, stimola chi guarda quel tanto che basta per farlo rimanere avvinghiato al narrato senza svelare troppo fino all’ultima mezz’ora, in cui la storia esplode drammaticamente nell’orrore più feroce e selvaggio. Come Daguerrotype, sempre del 2016, anche Creepy è un’opera basata sul dolore, sui ricordi, sulle colpe e sui fantasmi del passato che ritornano per perseguitarci, ma gli spettri di Creepy sono dolorosamente reali e tangibili. Lo stile dell’autore nipponico è chiaramente riconducibile a un cinema delle immagini, con una predilezione per la profondità di campo e per una rappresentazione sullo schermo sobria e straniante. È un cinema che allestisce con rigore formale ed eleganza un’alienazione sociale profonda e destabilizzante, capace di instillare un’angoscia sempre più crescente nello spettatore e mantenendo alto il livello di tensione, nonostante qualche forzatura di troppo nella sceneggiatura. Visivamente, inoltre, per quanto la messa in scena appaia semplice, nulla è lasciato al caso: dalla scelta delle inquadrature (a volte, per esempio, i personaggi sono fuori campo, non inquadrati dalla macchina da presa, oppure lontano, relegati in un angolo), all’importanza fondamentale della prospettiva delle immagini e di come quindi ci vengono presentate. Creepy è un cinema del reale e Kurosawa ci mette a confronto con il Male puro dell’uomo, ce lo sbatte in faccia senza pietà: un male inquietante, insito nella natura umana. I suoi personaggi nelle migliori delle ipotesi sono sfuggenti, egoisti, distratti, supponenti, arroganti, deboli e superficiali; nelle peggiori, invece, rappresentano ciò che di più terrificante e spaventoso si possa incontrare sulla propria strada. Il vicino creepy e freak del film, Nishino (interpretato da un agghiacciante Teruyuki Kagawa) si pone come incarnazione pura del Male, vera e propria matrice dell’orrore di una società allo sbando. Creepy è cupo e angosciante, ti si insinua sottopelle come un tarlo e ti divora gradualmente: un viaggio nell’universo oscuro e nell’abisso della mente umana, affascinante, perverso, misterioso. Ma, sia chiaro, è un universo dove non c’è redenzione alcuna.

Ilaria Dall’Ara