Goddess of love (Film)


Goddess of Love di Jon Knautz (Canada, 2015) – Durata: 93′ – Genere: Horror drama

Venus è una lap-dancer solitaria ed eccentrica che si invaghisce di Brian, un fotografo che lei considera l’uomo dei suoi sogni. I due vivono un’intensa e passionale storia d’amore che si trasforma in un inferno quando l’ex fiamma di Brian, Christine, si ripresenta nella vita dell’uomo. Distrutta e delusa, Venus non riuscirà a trattenere la sua ira e si lascerà guidare dal suo amore malato.

Goddess of Love è stato presentato al Film4 FrightFest di Londra e al Sitges International Fantastic Film Festival e si tratta della terza pellicola del regista canadese Jon Knautz, dopo la horror-comedy Jack Brooks: Monster Slayer (2007) e l’horror demoniaco The Shrine (2010), dove aveva già avuto modo di mettere in luce le sue notevoli capacità di messa in scena. Goddess of Love si identifica invece come un mystery-thriller con venature horror e dalla forte carica erotica, co-sceneggiato e co-prodotto insieme al regista dalla splendida e brava protagonista Alexis Kendra. Al centro della storia, ambientata nell’assolata Los Angeles, c’è lei, Venus, la Dea dell’Amore del titolo, bellissima e sexy, ma anche molto insicura e spiccatamente vulnerabile. Una Dea dell’Amore che durante lo svolgersi della storia si trasformerà in un demone iracondo e spietato, capace di quasiasi azione, anche delle più nefande.

Goddess of Love è un film a basso budget che maschera benissimo la sua scarsità di mezzi; il trucco, l’abbigliamento e la fotografia sono curatissimi, con una prevalenza di toni caldi e accesi, soprattutto nelle sfumature del rosso (chiaro il binomio amore-sangue); la regia di Knautz è sicura, non c’è una ripresa sbagliata e le inquadrature ad effetto si sprecano; la suadente colonna sonora di stampo jazz, curata dal veterano Ryan Shore (Prime, The Girl Next Door, Offspring, The Shrine e molti altri), è una cornice perfetta volta a sottolineare con intensità la discesa nell’abisso della protagonista. Visivamente, poi, è molto accattivante, in special modo per quanto riguarda le scene che si svolgono all’interno dell’appartamento di Venus, il suo santuario e il suo rifugio. Lo spettatore è preso tra due fuochi: da una parte è totalmente rapito e affascinato dalla fisicità e dalla sensualità prorompente di Venus, e dall’altra, di pari passo, assiste alla disgregazione della sua mente, il cui lento deteriorarsi si manifesta anche attraverso una serie di allucinazioni visive e uditive: insetti disgustosi o serpenti, personaggi mostruosi o il presentarsi di insopportabili suoni acuti.

A un certo punto di Goddess of Love il confine tra realtà e immaginazione si farà molto labile e sarà estremamente difficile distinguere la differenza, in un crescendo inarrestabile di tensione palpabile. Quello di Venus è un viaggio folle e violento nell’ossessione e nell’abisso della pazzia, un viaggio affascinante e insieme doloroso, da cui sarà impossibile allontanarsi fino allo scioccante, per quanto forse prevedibile in un certo qual modo, finale, in cui tutto sarà spiegato. E Alexis Kendra, vista precedentemente in Hatchet II (2010) e Big Ass Spider! (2013), qui al suo primo vero e proprio ruolo di protagonista, si comporta magnificamente e riesce a farsi carico di quasi tutto il film, trasfigurata nel corpo e nella mente, illuminando lo schermo in questa sua performance sentita, disperata e molto carnale.

Ilaria Dall’Ara

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Mi è piaciuto. E’ uno psychotriller che ha la paranoia come protagonista e l’amore vissuto come ossessione morbosa, che autodistrugge; i personaggi sono azzeccati e c’è una notevole e lapalissiana citazione di VERTIGO nel pre-finale che ho davvero apprezzato. Il tutto è fatto davvero molto bene, e il regista è davvero bravo: la sequenza della frenesia di lei nel post-ristorante è eccezionale. la macchina da presa sembra fremere con lei…

Fulvio Petri

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Goddess of love è un film molto diretto, che sfacciatamente si poggia sulle spalle, e non solo, della protagonista, la bella Venus, e si comporta a modo suo come un classico di genere che, a fronte di un budget che si intuisce non altissimo, supera le limitazioni del caso con una certa classe.
La fotografia curata, le scelte musicali sempre puntuali ed una astuta confezione da thriller erotico quasi anni ’80, senza le patinature del tempo o le indecisioni (recitative o di messa in scena) di prodotti simili contemporanei, lo rendono un caso interessante di felice e ben congegnata alchimia tra i vari comparti narrativi.
In questo contesto si inserisce, ( e senza niente aggiungervi a mio parere ), in una galleria sempre più nutrita di donne assassine, vendicative, malate di mente e disturbate che stanno diventando un vero e proprio battaglione al servizio dell’horror moderno, con esiti altalenanti.
Penso ai reboot di I spit on your grave, a mezzi passi falsi come Nurse 3D, o ai recenti Bite, Excess Flesh, Julia, Nina Forever, e via dicendo.
Possiamo ormai parlare di un vero e proprio sottogenere, che dribbla gli home invasion, i rape and revenge, per farne propri i vari topos ed acquistare una vera e propria, indipendente fisionomia a sé stante? Chissà, in attesa di sviluppi teniamo d’occhio anche questo Jon Knautz, e non sogniamoci nemmeno di perdere d’occhio Alexis Kendra.

Riccardo Himmel

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A me ha lasciato un po’ deluso, probabilmente perchè anelavo ad atmosfere e svolgimento della trama più sanguinolenti, invece il film, purtroppo con un sapore eccessivo di già visto, percorre anzi batte territori già ispezionati altrove, uno su tutti “Homesick”, anche se con trama e svolgimento diversi. Da salvare, assolutamente, quello schianto che è Alexis Kendra, credibilissima soprattutto nella prima parte, nel ruolo dell’angelica donzella che nasconde una doppia anima, ed una confezione dignitosa, nonchè l’unico omicidio, davvero terrificante seppur “banale” come esecuzione (mi riferisco all’utilizzo dell’arma). Ma francamente, per questo 2016, altri film mi sono rimasti impressi positivamente (ad esempio The Invitation e The Ones Below)

Nunzio Castellano