Blair Witch (film)

Blair Witch di Adam Wingard (USA, 2016) – Durata: 89′

Genere: Horror, Found Footage

Uno studente aiutato dai suoi amici decide di recarsi nei boschi circostanti il villaggio di Burkittsville (anticamente chiamato Blair), nella contea di Frederick, nel Maryland (USA), alla ricerca della propria sorella scomparsa, protagonista delle vicende narrate in “The Blair witch project”, primo film della saga diretto da Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez.

Blair witch rappresenta infatti il seguito ufficiale de “Il mistero della strega di Blair”, uscito nel lontano 1999 e che tanto clamore destò perchè preceduto/accompagnato da una massiccia e intelligente campagna di marketing talmente convincente che spinse molti spettatori a credere che la storia raccontata nel film fosse autentica. In riferimento al primo capitolo, ancora oggi, mi capita di assistere in rete, ad autentici scontri sanguinosi tra le opposte schiere di estimatori e detrattori di quel film. A mio parere, sebbene il primo Blair witch avesse più di un debito nei confronti del fondamentale “Cannibal Holocaust” del nostro Ruggero Deodato, e nonostante la pochezza dei contenuti narrativi, devo convenire che, almeno per quanto ancora ricordi dalla visione goduta in una sala romana all’epoca della sua uscita, ne rimasi favorevolmente impressionato, con una buona dose di brividi, in occasione della tanto discussa scena finale. Tuttavia, non saprei dire se il film oggi ha superato la prova del tempo perchè devo confessare di non averlo più rivisto da allora.

Pertanto, devo smentire un equivoco fondamentale: Blair Witch del 2016 NON E’ un remake o pseudo rifacimento del capitolo originale, come suggerito erroneamente da tanti all’epoca dell’uscita, circostanza tra l’altro che mi ha indotto per molti mesi ad evitare, come la peste, la visione di questo nuovo capitolo. (Per questo motivo infatti ho cancellato su questo gruppo tutti i post dove ci si lamentava erroneamente dell’ennesimo remake).
Parlare della saga mi consente di segnalare il primo aspetto negativo della pellicola: odio in generale i reboot. Infatti considero un autentico orrore il reboot della saga di Spider-man al cinema, così come mi ha fatto ribaltare dalla sedia, nel campo fumettistico, l’idea dell’universo Ultimate Marvel, versioni riscritte e aggiornate di supereroi, quali Spider-Man o X-Men. Questa Blair witch come premesso non è un reboot ma un seguito di una storia rispetto alla quale era già stata raccontata un’altra storia col titolo “Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2”, film non eccezionale ma comunque gradevole, sebbene anch’esso aspramente (e ingiustamente) criticato dai più. Per cui, far uscire un film dal titolo diverso e ambiguo (perchè senza numerazione), allo scopo di attrarre tutti i pubblici possibili, rappresenta per me un’operazione commerciale irritante e, almeno apparentemente, orientata esclusivamente al risultato di botteghino.
Purtroppo questa sensazione che non avrei potuto giustificare sulla base del solo titolo scelto, ha purtroppo trovato conferma in me al termine della visione del film, a causa del linguaggio adottato e del racconto sviluppato.
Infatti, il secondo aspetto negativo ascrivibile alla pellicola è il tipo di linguaggio adottato. Lo stile di ripresa prescelto, in un’ottica di omaggio al primo capitolo, è quello del found footage, genere che io adoro da sempre. A tal riguardo, le riprese sono state realizzate in maniera egregia, utilizzando con una certa intelligenza, numerosi strumenti tecnologici. Confesso che, come autore, il film mi ha fatto rabbia perchè mi ha fregato un’idea che accarezzavo da tempo: raccontare una storia attraverso la soggettiva di un gruppo di ragazzi, ognuno dei quali dotati di una propria telecamera, nel contesto di uno scenario misterioso. Sicuramente ne avranno fatto altri mille di film del genere ma Blair Witch sdogana a livello ufficiale questa specifica idea (anche se già nel 2012 con “THE BAY”, il veterano Barry Levinson, moltiplicava all’inverosimile i punti di vista della narrazione, affidandosi agli strumenti più disparati). Quello che ritengo un grave errore di linguaggio risiede nel tipo di montaggio prescelto, a fronte di una premessa inequivocabile posta all’inizio del film: -il seguente materiale video è stato assemblato da memory card e videocassette DV, ritrovate nella foresta Black Hills-. So che può apparire una critica pretestuosa ma, uno dei grandi pregi del genere found footage è proprio la rigorosità, senza la quale, vengono meno i presupposti e la validità della narrazione. Mi spiego meglio: se questo materiale è stato realmente ritrovato come il narratore ci vuole far credere, perchè montarlo così freneticamente? Perchè lo scopo del montaggio del film risiede esclusivamente nella costruzione dell’atmosfera ansiogena preliminare al classico e abusato effetto jump scare. Ecco perchè ritengo questo Blair witch un’opera furba che cavalca l’ondata commerciale del momento che trova come proprio fruitore ideale (anche se non esclusiva) il gruppo di ragazzini “pop-corn dotati” unicamente dediti al grido cretino nel buio dela sala. Infatti, uno dei motivi per cui “The Poughkeepsie Tapes” è considerato uno dei film fondamentali del genere mockumentary è che linguisticamente è ineccepibile, così come del resto, per me lo è il tanto criticato “Be my cat”. In entrambi i casi, infatti, il modo in cui viene tenuta la telecamera e i modi e i tempi in cui viene raccontata una determinata azione è sempre veritiero perchè realistico e motivato. Nel found footage, a differenza dell’horror in generale, conta la veridicità più che la plausibilità. Da questo punto di vista, il già citato Cannibal holocaust rappresenta un termine di paragone inarrivabile, ma è da considerare altrettanto linguisticamente inattaccabile The testament (anche se a me non è piaciuto per altri aspetti) e il criticatissimo REC 3 che, pur presentando innumerevoli difetti, ha un grande pregio: giustificare più di qualsiasi altro found footage la narrazione attraverso una telecamera (perchè nella prima parte le vicende vengono raccontate attraverso la telecamerina dell’ospite ad una festa di matrimonio).
Terzo e ultimo appunto, di natura prettamente personale, è l’aspetto narrativo della pellicola che non è stata capace fino alla fine di trasportarmi emotivamente. Credo che il materiale di partenza fosse notevole ma che non sia stato sfruttato nel migliore dei modi. Ciò è testimoniato da un’ottima prima parte nella quale veniamo a conoscenza dei personaggi e del loro obiettivo. Lo stesso dicasi per il loro arrivo nel bosco e per la nascita delle prime tensioni interne. Quando poi la storia prende una certa piega che, come mia abitudine, non spoilero per rispetto di chi non ha ancora visto il film, allora, è in quel preciso momento che si verifica il mio più completo distacco emotivo dal film. Questo perchè il susseguirsi continuo di jump scares al cinema mi ha stancato, e perchè la mia mente ha bisogno assoluto di vedere il meno possibile. Purtroppo in questo, il film fallisce miseramente: assistere in particolare alla visione della strega mi ha fatto cadere letteralmente le braccia, così come insistere nella reiterazione delle vicende all’interno della stessa location non ha sortito in me il probabile effetto straniante cercato da questi autori americani che, con questo Blair witch, realizzano il loro secondo (e speriamo) ultimo passo falso (dopo il deludente The Guest).
Sottolineo infatti che, continuo a nutrire grande stima per il regista Adam Wingard e il suo fedele sceneggiatore Simon Barrett, sopratutto per i loro precedenti “A Horrible Way to Die” del 2010, “You’re next” del 2011 e per la loro partecipazione alla bel progetto “V/H/S”. Il problema principale è che il loro spirito indipendente abbia subito un’eccessiva compressione a causa dalle esigenze commerciali di una grossa produzione per cui sono fiducioso nei loro futuri lavori. Chiudo questa lunga dissertazione con una considerazione sulla tanto acclamata sequenza finale di questa pellicola, sottolineando ancora una volta il mio mancato coinvolgimento emotivo perchè nonostante l’ambientazione prescelta sia eccellente benchè classicissima (il temporale, la casa fatiscente a più piani, la cantina, il tunnel claustrofobico) quello che viene portato sullo schermo secondo me ricalca semplicemente lo schema di una visita al luna park, con porte che si chiudono, persone che appaiono e scompaiono senza motivi e percorsi obbligati che conducono i protagonisti ad una destinazione scontata e prevedibile.
Alfonso Balzano

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Quando ero più giovane (e togliamo pure il più) feci per superficialità un errore: non andai al cinema a vedere The Blair Witch project. Col tempo me ne pentii. Forse è stato questo il motivo che mi ha in realtà spinto a rischiare in seconda battuta sul nuovo seguito ora nelle sale. Un gruppo di amici torna nel terribile bosco al seguito di James, deciso a trovare la sorella Heather, la scomparsa protagonista del primo film. Ora questa poteva essere, per me, una splendida strategia narrativa. Se fosse stata sviluppata bene. il bosco è fitto ed inquietante. Si sarebbe prestato a riprese che fano crescere il senso si solitudine, di smarrimento, di alienazione. Eppure sembra tutto girato nella stessa radura. Chiaramente le mie sono impressioni personali, per nulla viste da un occhio tecnico od esperto. Ma uscendo dalla sala mi è un po’ rimasta l’amarezza, come quando assisti allo spreco di quella che può essere una bellissima occasione.

Nicoletta Sibio