Circus of the dead (Film)

Circus of the dead di Billy Pon (USA,2014)

Durata: 102′ – Genere: Horror estremo

Non poteva esordire meglio Pon, con un film che sposta l’archetipo del pagliaccio assassino verso il suo fondale più nero e profondo. Qui la coulrofobia tocca un nuovo vertice, rinunciando ad ogni sensazionalismo sovrannaturale e abbandonandosi interamente alla pura, diretta e spietata malignità insita nell’animo umano. Raramente ho visto tanta cattiveria in un film.

Storia semplice: un gruppo di clowns assassini, che lavorano in un circo, sono dediti alle più turpi azioni sadiche ed omicide, seguendo il loro capo (un maestoso Bill Oberst, in grado di inquietare davvero tanto, ma che oscura decisamente la presenza degli altri clowns, mero contorno alla sua performance) in un gioco messicano di carte che dirige, affidandosi ad una cieca casualità, le loro truculente imprese.

Fin dall’inizio capiamo che non si limitano alle scorribande notturne intrise di ogni genere di violenza, ma sequestrano alcune vittime e le tengono in vita per renderli partecipi degli spettacoli o per torturarli senza sosta a piacimento. Il padre di famiglia, Donald, che è l’ultimo dei sequestrati, si troverà a vivere un infinito incubo di orrore e dolore che rappresenta la sua iniziazione al male assoluto, giacché “Papa corn” (Oberst) sembra averlo scelto come “dignitario” delle atrocità che l’essere umano può commettere se posto in condizioni estreme.

Fotografia ottima, prova attoriale convincente, effetti speciali al top, e un’overdose di sadismo, torture, omicidi, stupri, sangue a fiotti, che trasformano il film in alcuni momenti in un vero e proprio gore movie. Senza un filo di speranza, il film inizia male e finisce peggio, in un crescendo rovesciato (cioè una discesa negli inferi più oscuri), senza pause, senza catarsi, fino allo stordimento dello spettatore.

Momenti topici: le torture iniziali, le sevizie sessuali (anche) sui cadaveri o parti di essi, gli sguardi di Oberst, il cannibalismo e la necrofilia, e soprattutto il finale. La risicata storia di base probabilmente è funzionale ad enfatizzare il vero centro del film, ovvero la violenza. Forse un po’ troppo lungo, ma senza mai annoiare, il film è un viaggio nelle parti di noi che sadomasochisticamente vorrebbero nutrirsi della sofferenza più orribile, per sentirsi vive.

Claudio Marucchi