Candiland (film)

CANDILAND di Rusty Nixon (U.S.A. 2017).

Durata: 85′ – Genere: Drama – Romance

Ecco un’altra sorpresa assolutamente da vedere. Il giovane Peter, giovane promessa del tennis, è costretto a mollare tutto a causa di un grave incidente stradale. I dissidi con un padre maniaco del controllo (un Gary Busey davvero calato nel ruolo), il crollo mentale, e l’incontro con Tess, donna recentemente abbandonata e sola, costituiscono gli ingredienti che danno vita al film.

Tutto questo noi lo deduciamo man mano. Infatti la pellicola ci mostra il bizzarro, artistico, poi morboso e infine delirante amore tra i due. Peter e Tess rifiutano man mano l’esteriorità chiudendosi in un mondo di fantasia interamente riprodotto in casa. Colorando e disegnando le pareti, costruendo modellini e maschere di cartone, impersonando improbabili personaggi, cantando e danzando, e mangiando solo dolciumi, caramelle, pop corn e biscotti, trasformano la loro casa in “Candiland” e la loro vita in un fumetto. Dipingono le finestre per non vedere fuori, si fanno consegnare le cose in casa per non uscire ed il loro idillio include strani modi di comunicare e persino episodi di telepatia – probabilmente i primi segni di psicosi. Si tratta di un caso di “folie à deux”, ovvero il caso minimo dell’isteria di massa, ove il contagio della psicosi passa da uno all’altra continuamente. La deriva tragica porta il film al suo degno compimento, dove tutti i colori si saranno man mano sbiaditi, fino a convergere verso tonalità di grigio. Ottimamente recitato, con un montaggio originalissimo che includi inserti del finale, flashback, aperture e scorci sulla loro follia e le fantasticherie, sogni, paure. Tutto è parecchio convincente, dall’inizio alla fine. Vi è una dolcezza che non è solo resa dal solo cibo che i due consumano, ma è proprio il legame del loro rapporto. Il sapore troppo dolce, si sa, si converte in gusto amaro, così come il loro destino, man mano che i due vengono attanagliati dalla morbosità crescente. Bellissimo lo sviluppo, originalissimo, e l’estetica che è parte protagonista del film; credo che sebbene non sia un horror, (eccetto il finale) quanto piuttosto un dramma, possa tranquillamente inserirsi in quel filone del neo-horror che abbiamo potuto apprezzare da “Excess flesh” fino a “Prevenge“, dove il cibo in un caso e la follia in un altro vengono resi in un magnifico crescendo che accorpa i due elementi. Chicca da non perdere!

Claudio Marucchi