The seasoning house (Film)

The seasoning house (La casa dei profitti) di Paul Hyett – (UK, 2012)
DURATA 89′ – Genere: Horror

Delle ragazze vengono rapite dai soldati nelle zone di guerra e costrette a prostituirsi in un bordello nei Balcani. Tra queste, la giovane sordomuta Angel, costretta a prendersi cura delle altre donne….

Storia crudele e violenta per un film che, pur senza mostrare scene eccessivamente efferate, assesta ben più di un pugno allo stomaco. Tuttavia, la violenza è quasi tutta fuori campo, tranne rare eccezioni, come quella nella clip allegata. Siamo dalle parti del rape and revenge ma ripeto il regista, inglese, ha cercato di concentrarsi più sulla storia e sulle emozioni della protagonista piuttosto che sugli effetti speciali. Tuttavia la tematica di fondo (l’orrore della guerra) viene sviluppato in via del tutto marginale. Infine si nota anche lo sforzo di prestare attenzione all’aspetto fotografico e di raccontare il tutto con movimenti fluidi della mdp.
Unico neo per me: una certa ridondanza iniziale, e l’inverosimiglianza di alcuni situazioni finali, davvero indigeribile per un prodotto così calato nella realtà ma anche per una sceneggiatura scritta nel 2012. Certe scelte narrative al giorno d’oggi non si possono più tollerare. Nota di merito finale per la protagonista, efficace e credibile. Quindi un film da vedere ma senza grosse aspettative!

Alfonso Balzano

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Ci troviamo in un angusta ed anonima zona nei Balcani ai tempi della guerra civile: Angel, una ragazzina muta che ha perso la famiglia in seguito ai massacri di milizie paramilitari, lavora in uno squallido bordello prendendosi cura delle donne costrette a prostituirvisi. Durante le penose operazioni che quotidianamente svolge per assistere le prostitute stringe una profonda amicizia con Vanya e subisce l’amore morboso ed perverso di Viktor, il proprietario del bordello. E’ un’esistenza di miserie e di violenze, purtroppo destinate a degenerare quando Goran, comandante di un gruppo di paramilitari, arriva con i suoi uomini per offrire loro un po’ di insano svago.
Opera prima di Paul Hyett dietro la macchina da presa, già truccatore in pellicole di successo quali The Descent, Eden Lake e Doomsday; questo “The Seasoning House”è una produzione indipendente inglese uscito nel 2012 ed, ovviamente, mai arrivato nel nostro paese.
Cominciamo dall’inizio. Il regista non comunica precisamente il luogo nel quale si svolgono i fatti, probabilmente sarebbe pleonastico ai fini della narrazione: le violenze ed il degrado della storia che ci sta raccontando non hanno carta di identità, sublimandosi in una dimensione a-storica ed indefinita. Hyett sa di doversi muovere come un elefante in una cristalleria, essendo molto semplice affondare nei cliché. Ed infatti se ne tiene alla larga, così come non insiste su sequenze splatter fine a sé stesse: confeziona una sorta di ‘rape & revenge movie’ non privo di ostentate violenze, ma senza mai scadere nell’autocompiacimento e nel puro e semplice piacere di mostrarle; risparmia allo spettatore le umilianti scene di sesso, che totalmente ininfluenti sarebbero state nell’ordine della narrazione. La violenza è ovunque, è estrema, è straziante, è onnipresente: tanto nell’assalto della soldataglia di Goran, quanto nei silenzi dei dialoghi fra Angel e Vanya.
La regia è cruda e ‘verista’, i dialoghi rarefatti, la fotografia splendida tanto quanto l’interpretazione di una convincente Rosie Day, appena diciassettenne eppure sempre perfettamente credibile. Hyett non manda a vuoto neppure i colpi più cinematografici quali la truculenta scena dell’uccisione del militare alto e muscoloso, così come nella fuga fra le intercapedini dell’abitazione. Altrettanto efficaci risultano essere i flash-back, mai invasivi e sempre perfettamente integrati nella solida struttura del film.
Ci troviamo di fronte ad una pellicola eccellente, meritevole di essere vista e discussa, capace di intrattenere lo spettatore sino alle liberatorie sequenze finali, non priva di qualche imperfezione (in particolare la sceneggiatura in alcuni frangenti pare forzata, così come l’accento bosniaco abbozzato dagli attori inglesi) eppure capace di trovare una propria personale via nel mondo del ‘rape & revenge’ evitando facili moralismi e lasciando che l’orrore venga fuori da sé.
Quella cicatrice che risparmia alla povera Angel gli orrori della mercificazione del proprio corpo assurge a simbolo di libertà, così ben rappresentata in una delle più belle e toccanti pellicole di genere degli ultimissimi anni.

Marco Vadda

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Quanta violenza! una sorta di “rape and revenge” ambientato nell’ex Jugoslavia durante il periodo bellico. Le ragazzine sequestrate alle famiglie vengono drogate e costrette a prostituirsi per i soldati, una ragazza finisce molto male, e un’altra, che con lei aveva stretto una sorta di amicizia, riesce a vendicarsi. Il film è fatto benissimo, gli effetti speciali realizzati in modo molto realistico, a tratti violentissimo, crudo e spietato… disumanizza (le ragazze trattate peggio di oggetti, violentate, vessate, malmenate, drogate, abusate, seviziate) e poi ri-umanizza (dolce è la vendetta)… è più che consigliabile, ha un che di catartico!

Claudio Marucchi

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Ambientato nei Balcani a metà degli anni ’90, la pellicola narra le vicissitudini di una ragazza che, a causa della guerra civile in corso e delle conseguenti retate, viene rapita e trasferita in un bordello assieme ad altre sciagurate a cui tocca la stessa sorte, costrette a prostituirsi e farsi malmenare dai “clienti” di turno. Non ci sarà redenzione, nonostante la nostra eroina goda di un paradossale “trattamento di favore”.
Ennesimo film britannico, ennesima riprova di come il cinema inglese colpisca personalmente a segno (da Magdalene a The Descent, a The Tower Block, a Irina Palm, a il Prete, a Severance e tanti altri come Doghouse, l’ultimo che mi viene in mente). La vicenda narrata è estremamente dura, umanamente ai limiti della sopportazione, tra stupri, follie e violenze di ogni tipo; viene combattuta una guerra non solo civile senza esclusione di colpi, sotterrando ed annientando i basilari principi di rispetto per il prossimo.
La donna non è neppure considerata oggetto, ma semplicemente carne da macello, nel senso letterale del termine. Regia secca ed asciutta, nessun protagonista o comprimario fuori parte, tutto gioca a favore di un ambiente umano luridamente putrido, inospitale, selvaggio, in piena linea con la barbarie assurda della stessa guerra che fa da sfondo alla vicenda, combattuta da esemplari maschili allo stato animale.

Nunzio Castellano